domenica 4 dicembre 2016

Foscolo 3

      




     

     Forse perché della fatal quïete
     tu sei l'immago a me sì cara vieni
     o Sera! E quando ti corteggian liete
     le nubi estive e i zeffiri sereni,

     e quando dal nevoso aere inquïete
     tenebre e lunghe all'universo meni
     sempre scendi invocata, e le secrete
     vie del mio cor soavemente tieni.

     Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
     che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
     questo reo tempo, e van con lui le torme

     delle cure onde meco egli si strugge;
     e mentre io guardo la tua pace, dorme
     quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.



Credo proprio, cioè sono convinto, che questo sonetto potrebbe benissimo intitolarsi Alla poesia; come ripetutamente detto, infatti, la poesia è intrecciata alla morte, davvero imago mortis, figura della morte. Non solo sorge, la poesia, come detto da essa, conservando il ricordo di coloro che non sono più, della morte è anche prefigurazione, in quanto fa Vagar [...] co' [...] pensier su l'orme/ che vanno al nulla eterno, anticipa cioè l'esito della fine; essa pure acquieta le angosce e le inquietudini che contrassegnano l'esistenza, anticipando anche in questo la pace finale, la fatal quiete che è la morte. Per Foscolo come detto l'esistenza significa separazione dal principio generatore femminile, è negazione e si presenta quindi come esiglio, cura (cioè angoscia e affanno), tempesta, sciagura, guerra. La morte è dunque, hegelianamente, negazione della negazione, che diviene negazione materna, umana, determinata per usare il linguaggio hegeliano, grazie alla poesia, che conserva attraverso il canto ciò che è morto/negato, esattamente come morto/negato. La poesia, anche per la quiete che produce -nel poeta e nel lettore- è morte in vita: petite mort.


Nessun commento:

Posta un commento