mercoledì 31 agosto 2016

Breve prosa di fine stagione



Sarà pure una cattiva eternità di certo l'abitudine, un confortevole suo e domestico succedaneo, in forma ad ogni modo di kenosi -non mi veniva immerso la parola-  kenosi per sole ed acqua salata dunque la vacanza si presenta, proprio mentre slungo le braccia in mare, oppur nella piscina di nuovo finalmente pura, e appunto uno svuotarsi quella -la vacanza- appare, un invacuarsi a gran bracciate ovvero -coincidentia oppositorum- per ozio assoluto letterario, in vario cibo e nelle parole -molte, per fortuna a sproposito tutte- sempre sul cibo, e sesso ancora -ancora!- dentro la doccia solitario, quasi metafisico direi, in ogni caso patetico io recedo -o così almeno credo- fino all'elementare, al primo, al ramo di pino: astratta e fresca quindi l'eternità della pineta, altrettanto verde e serena di quella immaginata, posteriore,  col mio cane Ringo; rientrando a fine stagione, accoglie lei pineta ciascuno, ciascuno lei riposa, in attesa in prefigurazione d'altro, futuro e più compiuto, compiutissimo anzi, riposo: percorrono la pelle in lungo e in largo comunque le mosche, nel frattempo.


lunedì 29 agosto 2016

29 agosto 2016 in memoria di Tommaso Labranca (di LT2016)

la morte di Tommaso, che mi era così familiare 
anche se lui non lo ha saputo  mi spinge a pubblicare il più possibile
che un giorno un cugino non debba frugare fra i cassetti 


Farti innamorare di me 
della bestia che sono 
è una forma di odio per l'umanità
creare un desiderio che nessuno poi può soddisfare (
tutto questo  ha un "che" di libero scambio
di  biblico mercato  mercimonio)


@lt2016

PS quella immagine  che segue è una delle sue bellissime locandine con cui presentava i suoi strampalati eventi presso la sua maison (ormai era "svizzero" ("ebreo"  a tratti, pur di non appartenere all'insieme corr-ente) ))
Una volta anche io fui invitato ad uno di questi eventi quando ancora potevo concepire di fare una piccola vita mondana, ci mandò le foto dei partecipanti, e io commentai che una partecipante donna era molto carina, e lui al solito "cattivissimo/buonissimo (come in realtà era) " mi disse che Ella pretendeva solo maschi super- dotati e che si masturbassero 4 volte al giorno come minimo!
per sottolineare l'inopportunità del mio commento.



domenica 21 agosto 2016



s'addensano i pesci senza perché sul fondo
informi per la gran massa insistono ciechi
raggrumando in basso come fa il sangue
fra lo sperma sparso senza speranza 
o tregua inesplicabilmente poi risalire







Virgilio


lo spirito di dentro anima il cielo, la mente
diffusa per le membra agita la gran mole 
del mondo ed al suo corpo tutta si mescola


Demone estivo per me la metafisica (3)




Facendo davvero un gran balzo, di là d'ogni riflessione metafisica, in forma artistica, estetica ed estetizzante, medesima identificazione col principio che genera di dentro tutti gli esistenti, la stessa immedesimazione con la forza immanente e inesauribile che assume ogni forma -la materia, il dionisiaco-  ritroviamo in D'annunzio, l'immaginifico, il quale risale alla pura gioia creativa di Bruno, traverso una lettura estetico-vitalistica di Nietzsche, mondata d'ogni elemento tragico: l'artista come privilegiata e gioiosa incarnazione del divino principio generatore. Curioso l'uso, comune in D'annunzio e Bruno, di immagini tratte dal mondo vegetale, a rappresentare l'onnipresente forza germinativa.



Demone estivo per me la metafisica (2)





E arriviamo a Nietzsche, "ovvero Leopardi e Bruno, in uno", nel senso che l'affermazione della Vita, che lo contraddistingue, passa attraverso il negativo leopardiano; il Sì alla vita di Nietzsche sopporta il negativo, l'annientamento, la distruzione, la morte di tutti gli esseri e di tutte le forme. Questa non viene negata, superata dialetticamente, viene tenuta per quello che è, senza che infici o svaluti l'esistente. Ne La nascita della tragedia, il comune fondo ontologico, ciò che unisce ogni essere  -il dionisiaco- è un doloroso, magmatico, inquieto ribollire, che si quieta nel prendere forma, ma che instancabilmente ogni forma travolge a annienta. Il mondo è questo insuperabile scontro, insanabile  polemos, tra il principio del dare/darsi forma, del rappresentare/rappresentarsi -l'apollineo- e la dolorosa pulsione fondamentale, insofferente e insoddisfatta d'ogni forma e rappresentazione: al fondo dell'esistente un artista cosmico  infinito, si rappresenta ed annienta ogni rappresentazione di sé, ogni sua forma, ad un tempo necessaria e inadeguata. 
   


sabato 20 agosto 2016

Demone estivo per me la metafisica (1)




Del principio femminile -la Natura, la Materia- dell'archetipo della Madre direbbe Jung, Leopardi non vede che il negativo: è Matrigna, non Madre, destìna tutti  alla sofferenza e alla morte; il senso di ciò che essa genera sfugge, se ne comprende solo il dolore; la legge -incomprensibile appunto-  che impone ad ogni esistente è la fine: tutto dolorosamente è destinato a perire, tutto esiste solo per finire, inesplicabilmente. Ogni essere è "essere per la morte". Per Leopardi dunque il primum, il fondamento metafisico è caratterizzato come femminile, ed esso, o meglio, essa  è alla radice ostile, volta all'annientamento traverso il dolore.  Non sfugge però come l'atteggiamento di Leopardi sia nei suoi confronti duplice: essa è tanto grandiosa, misteriosa, meravigliosa -"antica natura onnipossente", "cosa arcana e stupenda", arcano mirabile e spaventoso"-  quanto mortale. La Natura per Leopardi ha dunque l'ambivalenza propria, secondo Otto, del sacro, appunto al tempo stesso  fascinans  et tremendum; essa ha la doppiezza dell'archetipo junghiano -della Grande Madre, in questo caso- nella quale senz'altro però prevale l'aspetto negativo, distruttivo: la Natura leopardiana rammenta davvero molto la terrificante  Dea Kalì, è Mater Terribilis. 
        A ben vedere, in Leopardi si ritrova lo stesso impianto metafisico di Bruno, solo vissuto diversamente. Bruno sperimenta, di nuovo, vive il volto positivo della Grande Madre, l'inesauribile, infinita produttività, l'incessante fecondità: ciò che Leopardi soprattutto coglie, vede e vive -il succedersi, il trapassare, in breve la morte delle singole forme in cui questa Gran Vita si realizza e sostanzia- a Bruno appare del tutto secondario, insignificante. Forse perché quest'ultimo, Bruno intendo, s'identifica del tutto con quell'esuberante principio, mentre Leopardi lo sente sì grande, ma estraneo, e semplicemente lo subisce. 

La differenza, direbbe forse Kerenyi, di chi ha partecipato ai Misteri, di chi ha visto in silenzio la spiga, sentendosi uno con ciò vive e lo prosegue, e chi non l'ha fatto.






a mezza strada come al solito, nell'ibrido
irrisolto tra immagine e ragionamento
son risalito -o meglio ancor disceso
per l'albero alla madre immensa
alla materia traverso la selva, come sapevo
da tempo ripeto e uguale ancora meraviglio



Bachofen



"Come foglie nella foresta sono le generazioni umane;
Ora il vento getta a terra le foglie, ed altre ne produce di nuovo
La foresta dai nuovi germogli, quando primavera rivive:
Tali le stirpi umane, l'una sorge e l'altra scompare.

Un'unica legge sovrasta la creazione superiore e quella inferiore. Simili a foglie d'albero sono le stirpi degli uomini. Le foglie d'un albero non nascono l'una dall'altra, ma tutte dal tronco. La foglia non genera la foglia, è il tronco che tutte le produce. Lo stesso accade per le generazioni umane secondo la concezione propria al matriarcato: quel che viene generato appartiene alla natura femminile che lo ha dato alla luce e lo nutre. Questa madre è sempre la stessa - in ultima analisi, essa è la Terra, di cui la femmina terrestre perpetuantesi nella serie delle madri e delle figlie rappresenta l'incarnazione. Come le foglie non sorgono l'una dall'altra, ma tutte dal tronco, del pari gli esseri umani non nascono l'uno dall'altro, ma tutti dalla forza primordiale della materia, dal ceppo della vita. [...] Dal punto di vista del matriarcato non c'è differenza tra l'uomo e il resto della creazione tellurica e giudica l'uomo (come le piante e gli animali) solo sulla base della materia dalla quale visibilmente scaturisce: ogni figlio è il figlio della madre, e, di là dalle varie generazioni, ha una sola progenitrice, la Terra, la Madre primordiale."

(Da Le Madri e la virilità olimpica,  scelta di passi da Das Mutterrecht, trad. Julius Evola)

mercoledì 17 agosto 2016

DE LA CAUSA






"Noi veggiamo che tutte le forme naturali cessano dalla materia e novamente vegnono nella materia; onde par realmente nessuna cosa essere costante,  ferma e degna di avere estimazione di principio, eccetto che la materia. Oltre che le forme non hanno essere senza la materia, in quella si generano e si corrompono, dal seno di quella esceno ed in quello si accogliono; però la materia la qual sempre riman medesima e feconda, deve aver la principal prerogativa d'esser conosciuta sol principio substanziale, e quello che è, e che sempre rimane; e le forme tutte insieme non intenderle se non come che sono disposizioni varie della materia, che sen vanno e vegnono, altre cessano e se rinuovano. Però si son trovati di quelli che hanno concluso al fine che quelle forme non son che accidenti e circostanze della materia; la quale appresso quelli è un principio necessario, eterno e divino, come a quel moro Avicebron che la chiama "Dio che è in tutte le cose";  il quale moro tenne a vile ogni qualsivoglia forma in comparazione della materia stabile, eterna progenitrice e madre.  [....]

E da essa materia, non men comodo sarà esplicare le forme come da un implicato che distinguerlo come da un caos, che distribuirle come da una fonte ideale, che cacciarle in atto come da una possibilità, che riportarle come da un seno, che dissotterrarle alla luce come da un cieco e tenebroso abisso.. [...]

Dunque la materia non è quel prope nihil, quella potenza pura, nuda, senza atto, senza virtù e perfezione. Io la dico privata de le forme e senza quelle, non come il ghiaccio è senza calore, il profondo è privato di luce, ma come la pregnante è senza la sua prole, la quale la manda e la riscuote da sé; e come in questo emisfero la Terra, la notte, è senza luce, la quale con il suo riscuotersi è potente di riacquistare. [...]

Non sei tu quello che, sempre parlando del novo essere delle forme nella materia o della generazione delle cose, dici le forme precedere e sgombrare da l'interno de la materia, e mai fuste udito dire che per opera d'efficiente vengano da l'esterno, ma che quello le riscuota da dentro? Lascio che l'efficiente chiamato da te con un comun nome Natura, lo fai pur principio interno e non esterno, come avien ne le cose artificiali. E allora mi par convegna dire che non v'è forma ch'essa materia riceva da fuora, e mi pare convegna dire che l'abbia tutte, le forme, quando si dice cacciarle tutte dal suo seno. [...]

Quella dunque la quale esplica ciò che tiene implicato, deve essere chiamata cosa divina e ottima parente, genetrice e madre di cose naturali, anzi la natura tutta in sustanza."
                                                                                                                                  Giordano Bruno


Un testo entusiasmante, nella visione filosofica proposta -una materia divina, dinamica, infinita e onniforme: una concezione immanente, naturalistica e materna della divinità- visione la quale  fa tutt'uno in lui con lo stile, uno stile lussureggiante, metamorfico, quasi barocco, vitalissimo.  In una parola, a pensarci bene, dionisiaco.




                                        in effetti
qui proprio siamo dentro l'acqua eterna
e trasparente come vetro come mirto
verde genera rigenera degenera anche
liquida selva diffusa ondeggiante pigna



martedì 16 agosto 2016

Qui



non certo la doppiezza che ha l'oracolo
spesso mortale di Apollo, l'ambiguità
che non si scioglie del sogno
e dell'enigma, piuttosto il gelo
intellettuale, granché senza intelletto
                          a dire il vero



Lossia


lunedì 15 agosto 2016

Ferragosto



scomparso del tutto il sapere che gli aruspici
avevano un tempo -si dice- consistesse
nell'interpretare adeguatamente il labirinto
sacro intestinale, aperte le bestie nel corpo
portavano alla luce chiarificandola
l'interna e misteriosa lingua dei visceri:
insanguinate le dita fra caldi escrementi cercare
e rinvenire segni, dal chiuso finalmente all'aria
luminosa sopra la pietra dirli



lossia

giovedì 4 agosto 2016

Hic et Nunc



più o meno solubili, comunque siamo dentro
l'acqua verde come la luce che filtra
esigua e trasparente nello schema
sostanzialmente  rigido dei pini il vento
in alto appena appare, al contrario
un canto che stordisce e non cessa -il mare
                                        fitto delle cicale-