domenica 4 dicembre 2016

Furia, ripetizione, (mono)mania dell'interpretazione. Foscolo 1






Per una rilettura dei tre più noti sonetti foscoliani



Nè più mai toccherò le sacre sponde
    Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
    Zacinto mia, che te specchi nell’onde
    
4Del greco mar, da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
    Col suo primo sorriso, onde non tacque
    Le tue limpide nubi e le tue fronde
    
8L’inclito verso di Colui che l’acque

Cantò fatali, ed il diverso esiglio
    Per cui bello di fama e di sventura
    
11Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
    O materna mia terra; a noi prescrisse
    
14Il fato illacrimata sepoltura.

Indubbiamente, riprendendo i sonetti più noti -scolastici persino- di Foscolo, come A Zacinto In morte del fratello Giovanni, ci si ritrova il tema, francamente lontanissimo, dello struggente sentimento dell'esule per la Patria, per la Terra Natale, come pure quello stavolta comprensibile della lontananza dagli affetti più cari. A rileggerli, però, questi sonetti, dietro la Patria sembra apparire la Grande Madre, l'Archetipo Materno del quale la Patria pare incarnazione particolare, forma storica determinata (come la Grande Dea primitiva ed orientale, come la Terra, la Natura, la Materia, )solitamente accompagnate dall'apposizione Madre; un Archetipo quindi politicamente mobilitante e produttivo, un intenso Archetipo anche politico, tanto profondo e violento da richiedere il sacrificio pubblico della vita. C'è comunque in Foscolo un acutissimo senso della separazione da un principio femminile, con il quale si desidera riunirsi ma che sappiamo irraggiungibile; un principio generatore che ci ha prodotti e dal quale siamo irrimediabilmente separati, per essere consegnati ad un'esistenza di irrequietezza e insoddisfazione, date appunto dalla lontananza rispetto all'Origine/Madre:  più mai toccherò le sacre sponde/ Ove il mio corpo fanciulletto giacque,/Zacinto mia.E difatti nel mare greco nasce la produttività femminile per eccellenza, Venere, della quale Zacinto porta nella fecondità il segno. Solo contatto possibile con il principio materno e femminile si ha però attraverso la poesia, unica forma del ritorno all'Origine è mediante la pratica poetica: Tu non altro che il canto avrai del figlio,/O materna mia terra;a noi prescrisse/Il fato illacrimata sepoltura. Perché questo improvviso plurale maiestatis? Forse perché non si riferisce solo a sé, ma a tutti noi? A tutti gli uomini, infatti, il fato impone, pone davanti il duplice aspetto dell'archetipo femminile, quello positivo della Terra che genera e quello negativo della Terra che distrugge e riassorbe: il testo principia con il corpo che fanciulletto giacque e si chiude con l' illacrimata sepoltura, appunto, dove la Madre Terra si fa, per tutti, alla fine Terra Straniera. Siamo davanti ad un principio psicologico ed esistenziale -di più: ontologico- sentito, denominato come femminile e sacro, la separazione dal quale costituisce la nostra nascita ed al tempo stesso fonda la nostra sofferenza ed insoddisfazione; solo il canto poetico riattinge l'origine.


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