giovedì 29 settembre 2016

il mio omaggio a Tommaso Labranca (luigi tredici)

Tommaso Labranca per me era ossessionato dalla Perfezione delle sue e altrui Opere.
Dalla perfezione (non ) geometrica del Mondo. Qualcosa ma veramente poco lo soddisfaceva. I Kraftwerk, la Svizzera, i Sigur Ros degli esordi.
La musica minimale contrapposta al caos che ci circonda tutti, il silenzio quasi.
L'estetica Ikea del mondo contrapposta alla cucina sfarzosa di Michele Serra in alta campagna, più sei di sinistra e più sali in collina
Lui invece stava in città. Era curioso di tutto. Anche dei mille canali digitali terrestri dove vendono quadri di improbabili e probabili pittori, anelli di cattivo e buon gusto.
Un cervello attivo in maniera frenetica, operativo come quello di mille persone messe assieme, come mille lampadine accese, acceso h24 sempre più operativo.
A modo suo Tommaso era una specie di prete laico (o no) o un antiprete tipo Savonarola che avrebbe messo al rogo quasi tutti , un savonarola un giordano bruno da rogatore a rogato, da bruciatore a bruciato.
A livello dialettico impossibile tenergli testa, persino Michele Serra o addirittura Concita De Gregorio, (addirittura!) avrebbero perso una disputa dialettica con lui. Pura leggenda dialettica.
Persino Concita, con il suo aplomb , con quel suo dito sul mento per dire o quanto sono bella o quanto intelligente sarebbe soccombente.
L'uomo di oggi sa tutto sulle tariffe assicurative agevolate perchè l'uomo di oggi vuol essere sempre il più furbo.
Nei pochi coccodrilli cartacei o digitali alla sua morte dedicati, ricordo quello dell ' (improbabile) Biondillo Gianni o del più probabile Monina Michele - che era una amico davvero di Tommaso pare - non si sa come inquadrarlo: figura poliedrica, scrittore poeta...insomma non sapevano che animale fosse.
La "definizione" di Labranca  , è quella di critico  (televisivo cinematografico-   ricordo che ha collaborato per lungo tempo con  l'ottima riviista Film Tv - non con Microomeg per dire- con la sua gustosa rubrica Collateral , per qullo ho inziato a comrpare FT e non ho semsso non so dotelo al direttore ) critico musicale dal palato fine dai gusti sopraffini e sopratuttto e con un attenzione geniale e avanguardistica per la musica pop ("pop è tutto" dirà poi Mogol) 
La prima cosa bellissima che lessi di lui era la disamina di un brano di Max Pezzali "Sei un mito" in cui analizzava da un punto di vista socio-politico il rapporto tra i due protagonisti della canzone lui giovane sottoproletario con la  "A112" con l'arbre magiqu e tappetini nuovi che cannava da dio per arrivare in tempo all'appuntamento da lei in centro a Milano, lei che ha la casa libera perche i suoi (borghesi) erano a teatro o al cinema. In un analisi di una - per i Critici Letterari con La C maiuscola  - piccola canzone pop si è descritto un mondo una piccola verità, Proletariato versus Borghesia, e del come la seconda abbia sempre la meglio sulla prima.
Due righe raggiunto il cuore del problema sociopolitico, risolto.
A un genio, occorrono poche  parole (o molte).

ll libro aveva un titolo orrendo Estasi del Pecoreccio  a cui segui Neoproletariato e insomma aquistateli per voi se potete, lui è morto pare.




Post scriptum : pare che la rivista di cui ultimamente si occupava Tommaso Labranca  cioè Tipografia Helvetica farà un numero celebrativo e il critico musicale Monina mi ha chiesto di inviargli qualcosa, ovviemente per ora senza risposta. Lo ho pubblicato qui, spero non vi dispiaccia.

domenica 25 settembre 2016

Foto titolo exergo introduzione dedica inizio












Il giardino mio primordiale

Suite-Corpus Lossia Maniera

(monstrum/mestruum/mainstream)




Et je travaille et je suis seul dans
mon jardin
Et le Soleil brule en feu sombre
sur mes mains”

Paul Eluard



Segui la Forza, Luke”

Obi Wan Kenobi



“Chi vede l’ordine senza ordine
del corpo di essa degna sposa?” 

Maria Maddalena de’ Pazzi








In margine ad un poema foresto

 La passion del primitivo in lui
lasciava ovunque traccia

I versi sopra riportati, certo non memorabili, sono tratti dal poema L’ Homo Silvestre, attribuito ad un anonimo di fine XVIII secolo (noto appunto come Anonimo dell’ Homo Silvestre, ma anche come Anonimo del Silvestre, o, più semplicemente, come Il Silvestre). A quest’opera singolare, e al suo autore, rimanda L. Perelli all’interno della Nota sul primitivismo lucreziano; trattando delle influenze di questo tema sulla poesia italiana scrive: “Va poi fatta menzione del tentativo, tanto curioso quanto mancato, presente ne L’Homo Silvestre, di fondere l’aspra fascinazione dell’origine, propria di Lucrezio, con il tema dei primigeni “bestioni” poetici, che ritroviamo in Vico.” Sempre il Perelli, nel suo lavoro più noto e importante, Lucrezio poeta dell’angoscia, al capitolo Il materialismo in Lucrezio: tra atarassia ed angst, afferma:
“Il nesso tra filosofia materialista e quel sentimento assoluto del nulla che è l’angoscia, passa da Lucrezio a Leopardi attraverso la mediazione, certo poco nota ma determinante, de L’homo silvestre, poema che, con più d’una eco dantesca, anticipa temi squisitamente leopardiani”:

 Selva profonda madre inimica
Generatrice bruna del sembiante
Tutto in te s’aduna sanza requie
E sanza speme alcuna; mala se’
Radice e vana tu santa matrice

Il primo di questi versi, senz’altro il più famoso e citato dell’intero poema, si fregia persino d’un giudizio, non proprio lusinghiero, di Borges, il quale nei Nuovi saggi danteschi ne parla come di “un verso a suo modo esemplare: ricercando la grandezza –essere Dante e Leopardi- consegue la pienezza del ridicolo”.
Ed è probabilmente sempre a questi versi che Cesare Vasoli fa riferimento, allorquando nel suo dottissimo saggio dal titolo La fortuna filosofica della selva, dichiara: “La divina foresta spessa e viva e la selva oscura, che Dante contrappone, divengono uno ne L’homo silvestre”.

 Poi che scostate avea le foglie
Buie di sopra l’acqua io rimirava
Me come in ispecchio al lume
De la luna diaccio, i’ medesmo
Pareami riverberato enimma
E carnosa imago tremolar
Pel vento, mezzo il frondoso
Portento ch’à selva per nome    
[….]
Salgo ove il denso cessa
E tutto impietra e onne cosa
È acuta e dura e diaccia;
Immenso il silenzio intorno,
Ruinano i borri sanza fine
Fondi, le nevi immani, i ghiacci
D’ogni romore privi; sola
Si scòte lungi la selva di soni
Fitta, e dòle gl’occhi il sole
A la sua vita
 
Questo il brano declamato dalla voce, irrimediabilmente perduta, di Carmelo Bene, durante la sua ultima, memorabile, apparizione televisiva, brano dopo il quale affermava:
“Io non sono, io non esisto: significo all’infinito; come Dante e Campana, come Leopardi e il Silvestre, il resto è men che niente: è rappresentazione.”
Nel lungo saggio scritto a quattro mani da Jean Baudrillard e Giorgio Agamben (In ascolto dell’inaudito. Per un’analisi del Carmelo Bene televisivo), saggio che costituisce l’introduzione ai testi delle apparizioni di Bene sui canali Mediaset (il volume è stato pubblicato, nel 2002, come prestigiosa strenna natalizia della medesima azienda, per i tipi Luigi Berlusconi Editore, con il titolo La Televisione fa Schifo, dunque è la Casa dell’Essere, affermazione televisiva dello stesso Bene), a p. XLI possiamo leggere:
“In Carmelo Bene l’opposizione linguistica di significante e significato, declinata nella sua forma più esasperata, ovvero passata attraverso la lezione di Lacan, sembra riprendere –ci verrebbe da dire resuscitare- in senso estetico-esistenziale la contrapposizione scolastica, e prima ancora averroistica, di natura naturans (il Dio infinito e creatore) e natura naturata (il creato de-finito, de-terminato). Con queste premesse teoriche, risulta ineluttabile l’incontro di Bene con poeti quali Campana e l’Anonimo del Silvestre, cantori, con diverso stilema (la Notte in un caso, la Selva nell’altro) della medesima femminile “radice” “sanza requie” produttiva, per usare locuzioni del Silvestre"






Vorrei felice con voi nel folto
de’ versi miei smarrirmi, amici:
qui il viver mio sfarini, dispaia
agl’occhi di ciascun mio volto






Il giardino mio primordiale
fuor di naturale misura rigoglia
e inspessa giorno a giorno d'erba
come d'arbusti aggrava senza nome
e intrica tutto e annoda 
e inselva da levar la luce
                                 magma
vegetante che la pigrizia mia
che non ha fondo
disordina e surnutre



l’odore dell’erba tagliata mi rende
inaspettatamente felice











mercoledì 7 settembre 2016

ri-pre-dia-mo ...

Ri-pren-dia-mo  da  dove ci eravamo fermati..

Il tema, il solito, quello dell'Abbandono, declinato come
se fosse una pallina da golf che rotolando da una collina
da una collina mogoliana
raccoglie i detriti li attrae e diventa enorme
come le valanghe
insomma e non è una cosa tanto astratta se leggi qui cosa scrive ..


Lupe, 290 chili, che inizia a ingrassare a sette anni dopo che il padre la mette nella vasca da bagno, e va via. Otto ore in acqua prima di capire che papà non tornerà mai più, povera Lupe.
Da quel giorno ingrassa, ingrassa, diventa enorme. A vent’anni trova un fidanzato, Gilbert, che presto diventa il suo carceriere, lui la vuole grassa, la vuole immobilizzata per sentirsi indispensabile. La amo tanto, e se dimagrisce ho paura di perderla, piange Gilbert.
Intanto chatta al computer. E dopo l’operazione di bypass, Lupe lo scopre: “tu chatti con altre donne”, e lui: “io diffondo il verbo di Dio in rete” e lei: “a donne col seno nudo?”

http://www.minimaetmoralia.it/wp/raccontare-la-vita-reale-la-tv-senza-redenzione/#respond


Luigi 13


le piccole dune sul fondo 
fin quando è possibile conto
che mi danno riposo e se emergo
guardo quelle sul dorso
del mare che sempre scintillano a specchio
proprio come fanno le squame
d'un serpe a vederlo mai vecchio




dico e ridico in mille modi
le vie d'acqua al principio
rendendomene poi sempre dopo conto
                                              e continuando
a meravigliarne comunque; non si scappa
dal seguente dilemma: si tratta
di un archetipo/sono rincoglionito






direi ancora una volta il verde
brillante dei pini, perfettamente
immobile, la luce
in alto del giorno trascorso appena,
l'aria che pure non muove-serena-
l'acqua che davanti si ripete e trema






domenica 4 settembre 2016

Il mare la madre


Mentre a casa si perde quella mia vera, per un'abbastanza giovanile demenza senile, io di continuo nuotando la ritrovo, quindi e la scrivo, lì per lì senza capirlo bene, simbolicamente certo e -va detto- in tutta comodità e relax: a bell'agio, mia madre in acqua sciolgo, trasmuto quello che fuggo in liquido riposante simbolo; surrogo dunque, accanitamente surrogo la madre con il mare. Cosa mi muove e a questo spinge? Ripeto, certo una gran voglia di scappare, necessità forse -ma solo forse- terapia in forma sviata: di tutto sicuramente un groppo, che groppo finché campo rimane penso.





Ripresa e variazione sul tema


Banalmente forse, proprio in vacanza ho appreso che è una necessità per me davvero vitale il vuoto, incarna senza corpo la sorgente, la spolpata e nutriente origine dove le cose finalmente appaiono -o tornano di nuovo ad apparire- per quel che proprio sono, come appena fatte (1), inutili e fresche, prime, fuori dal tempo-mondo, preso come faccenda, attualità ed ingombro. Così nuotando torno al grembo, raggiungo a piene bracciate il vuoto, che è poi quello liquido iniziale, l'avvolgente stordimento, in mare. A questo modo la bolla si riforma -prenatale- e di nuovo protegge e cresce, isola e ottunde; stavolta però è salata.

(1) Uscite di creazione, secondo il pensiero ebraico, per temporanea sospensione, o forse, dicendo meglio, per il ritrarsi, il vuoto di Dio, parziale.