Il giardino mio primordiale
Suite-Corpus Lossia Maniera
(monstrum/mestruum/mainstream)
“Et je travaille et je suis seul dans
mon jardin
Et le Soleil brule en feu sombre
sur mes mains”
Paul Eluard
“Segui la Forza, Luke”
Obi Wan Kenobi
“Chi vede l’ordine senza ordine
del corpo di essa degna sposa?”
Maria Maddalena de’ Pazzi
In
margine ad un poema foresto
La
passion del primitivo in lui
lasciava
ovunque traccia
I versi sopra riportati, certo non memorabili, sono tratti
dal poema L’ Homo Silvestre, attribuito ad un anonimo di fine XVIII
secolo (noto appunto come Anonimo dell’ Homo Silvestre, ma anche come Anonimo
del Silvestre, o, più semplicemente, come Il Silvestre). A
quest’opera singolare, e al suo autore, rimanda L. Perelli all’interno della Nota
sul primitivismo lucreziano; trattando delle influenze di questo tema sulla
poesia italiana scrive: “Va poi fatta menzione del tentativo, tanto curioso
quanto mancato, presente ne L’Homo Silvestre, di fondere l’aspra
fascinazione dell’origine, propria di Lucrezio, con il tema dei primigeni
“bestioni” poetici, che ritroviamo in Vico.” Sempre il Perelli, nel suo lavoro
più noto e importante, Lucrezio poeta dell’angoscia, al capitolo Il
materialismo in Lucrezio: tra atarassia ed angst, afferma:
“Il nesso tra filosofia materialista e quel sentimento
assoluto del nulla che è l’angoscia, passa da Lucrezio a Leopardi attraverso la
mediazione, certo poco nota ma determinante, de L’homo silvestre, poema
che, con più d’una eco dantesca, anticipa temi squisitamente leopardiani”:
Selva
profonda madre inimica
Generatrice
bruna del sembiante
Tutto
in te s’aduna sanza requie
E sanza
speme alcuna; mala se’
Radice
e vana tu santa matrice
Il primo di questi versi, senz’altro il più famoso e citato
dell’intero poema, si fregia persino d’un giudizio, non proprio lusinghiero, di
Borges, il quale nei Nuovi saggi danteschi ne parla come di “un verso a
suo modo esemplare: ricercando la grandezza –essere Dante e Leopardi- consegue
la pienezza del ridicolo”.
Ed è probabilmente sempre a questi versi che Cesare Vasoli
fa riferimento, allorquando nel suo dottissimo saggio dal titolo La fortuna
filosofica della selva, dichiara: “La divina foresta spessa e viva e
la selva oscura, che Dante contrappone, divengono uno ne L’homo
silvestre”.
Poi che
scostate avea le foglie
Buie di
sopra l’acqua io rimirava
Me come
in ispecchio al lume
De la
luna diaccio, i’ medesmo
Pareami
riverberato enimma
E
carnosa imago tremolar
Pel
vento, mezzo il frondoso
Portento
ch’à selva per nome
[….]
Salgo
ove il denso cessa
E tutto
impietra e onne cosa
È acuta
e dura e diaccia;
Immenso
il silenzio intorno,
Ruinano
i borri sanza fine
Fondi,
le nevi immani, i ghiacci
D’ogni
romore privi; sola
Si
scòte lungi la selva di soni
Fitta,
e dòle gl’occhi il sole
A la
sua vita
Questo il brano declamato dalla voce, irrimediabilmente
perduta, di Carmelo Bene, durante la sua ultima, memorabile, apparizione
televisiva, brano dopo il quale affermava:
“Io non sono, io non esisto: significo all’infinito; come
Dante e Campana, come Leopardi e il Silvestre, il resto è men che niente: è
rappresentazione.”
Nel lungo saggio scritto a quattro mani da Jean Baudrillard
e Giorgio Agamben (In ascolto dell’inaudito. Per un’analisi del Carmelo Bene
televisivo), saggio che costituisce l’introduzione ai testi delle
apparizioni di Bene sui canali Mediaset (il volume è stato pubblicato, nel 2002,
come prestigiosa strenna natalizia della medesima azienda, per i tipi Luigi
Berlusconi Editore, con il titolo La Televisione fa Schifo, dunque è la Casa
dell’Essere, affermazione televisiva dello stesso Bene), a p. XLI possiamo
leggere:
“In Carmelo Bene l’opposizione linguistica di significante
e significato, declinata nella sua forma più esasperata, ovvero passata
attraverso la lezione di Lacan, sembra riprendere –ci verrebbe da dire
resuscitare- in senso estetico-esistenziale la contrapposizione scolastica, e
prima ancora averroistica, di natura naturans (il Dio infinito e
creatore) e natura naturata (il creato de-finito, de-terminato). Con
queste premesse teoriche, risulta ineluttabile l’incontro di Bene con poeti
quali Campana e l’Anonimo del Silvestre, cantori, con diverso stilema (la Notte
in un caso, la Selva nell’altro) della medesima femminile “radice” “sanza
requie” produttiva, per usare locuzioni del Silvestre"
Vorrei
felice con voi nel folto
de’
versi miei smarrirmi, amici:
qui il
viver mio sfarini, dispaia
agl’occhi
di ciascun mio volto
Il giardino mio primordiale
fuor di naturale misura rigoglia
e inspessa giorno a giorno d'erba
come d'arbusti aggrava senza nome
e intrica tutto e annoda
e inselva da levar la luce
magma
vegetante che la pigrizia mia
che non ha fondo
disordina e surnutre
l’odore
dell’erba tagliata mi rende
inaspettatamente felice
dal giardino primordiale, selvaggio, caotico e di tonalità scure si approda ad un ambiente caratterizzato dall'odore di erba tagliata e perciò percepito come luminoso, fresco e ordinato. solo l'uomo taglia l'erba, mette ordine, rallenta il percorso inesorabile verso il disordine che domina in sua assenza. forse il passaggio illustra il momento della nascita. comunque un passaggio creativo.
RispondiEliminaE'vero: il taglio di cui si parla alla fine è un momento d'ordine e pulizia, dunque creativo in quanto ordinatore, perché effettivamente generatore è ciò che lo precede, cioè il disordine, la confusione che viene prima.
RispondiEliminaLO
da monstrum a mainstream, come manuel Agnelli :))
RispondiEliminaVero! E però grande anche l'impraticabile e remoto G.L.Ferretti, che di Agnelli ha detto "almeno avrà fatto un po' di soldi".
EliminaNon avevo mai sentito parlare del saggio di Baudrillard e Agamben su Bene... e non riesco proprio a trovarlo! Mi sapresti aiutare?
RispondiEliminaAndrea
Se tu lo avessi trovato sarebbe stato davvero straordinario, dato che non esiste al di fuori di questo testo.
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